La Signora è in prima fila davanti all’ingresso di quello che, qui al quartiere Stella di Milano, chiamano tutti “il muro del pianto”: un palazzone popolare lungo una cinquantina di metri ormai malconcio e trascurato.
È arrabbiata la Signora; urla e sbraita contro la famiglia di magrebini che ha avuto in affitto un appartamento vicino a casa sua.
“TROIA” grida alla donna velata che abbassa lo sguardo circondata dalla polizia che sta cercando di proteggere lei e la sua famiglia per farli entrare nella loro nuova dimora.
“BASTARDI” ai figli terrorizzati, anche se quelli non osano nemmeno guardarla in faccia.
Del resto la Signora lo sa, questi qui vengono da noi a rubarci il lavoro e le case; non sono come noi, non sono italiani loro. Anche quel giornalista che alla Signora piace tanto (quello che va in giro per gli accampamenti degli zingari a mostrare quanto sono animali pure quegli altri, per capirci) dice sempre che mica possiamo accoglierli tutti, che a questi qui gli danno più di trenta euro al giorno per non fare un cazzo mentre la Signora si spacca la schiena a pulire le scale per otto euro l’ora.
Otto euro l’ora, pazzesco! Pure la figlia della Signora si è fatta il mazzo per arrivare ad una laurea ed ora, dopo più di tre anni, non trova niente perché non è raccomandata. E a questi negri danno la casa! Hanno ragione quei ragazzotti che urlano “PRIMA GLI ITALIANI” e hanno fatto un presidio per evitare che questi animali possano entrare; dicono che sono fascisti ma alla Signora non interessa, almeno quei ragazzi hanno regalato un chilo di pasta a tutti quando c’erano le elezioni e loro lo sanno che i negri qui inizierebbero subito a spacciare o a rubare, lo sanno anche gli altri vicini di casa che stanno gridando insieme alla Signora. Lo sa pure quel bravo ex ministro che qualche giorno fa è andato a suonare il citofono di un ragazzino africano che spaccia, o spaccia il fratello o il papà. Perché se una mamma, per di più con un figlio morto per droga, dice: “quello è uno spacciatore” mica può essere che sia una bugia, no?
Così lei urla, le telecamere la filmano e lei urla ancora più forte: come una pentola a pressione che ormai non riesce a sopportare oltre. È gonfia di rabbia perché non ce la fa più a vivere in mezzo a tutto quello schifo, vorrebbe solo che tutto fosse come quando sta su Facebook. Lì tutto è perfetto, lindo, pulito. Le foto sono magnifiche e i visi sorridenti; pensare che una volta ha anche messo un commento alla tipa, quella famosa che è sempre in televisione e fa l’influencer; le aveva scritto che avrebbe voluto una figlia come lei e la tizia le aveva risposto mandandole un cuoricino.
Ci pensate? Una donna delle pulizie che riceve un cuore da una famosa, così dovrebbe essere.
Sempre! Non che poi, quando esci di casa, trovi tutto questo schifo, questa droga, questa prostituzione.
Deve urlare di più, deve farlo sapere al mondo, occorre che tutti sappiano di lei; così perde ogni freno e grida con tutto il fiato in corpo alla ragazzina che avrà si e no dodici anni: “PUTTANELLA, SPERO CHE TI STUPRINO!”
Ecco fatto: flash dei fotografi, luci delle telecamere, microfoni sotto il naso. Da questo momento in poi tutte le televisioni, i siti e persino Facebook non faranno altro che parlare della Signora per le prossime settimane. Così il nuovo mostro è stato creato a uso e consumo di quelli che si indignano, di quelli che la pensano come lei, di quelli che sono solo curiosi di conoscere l’ennesimo caso umano da consumare in attesa del prossimo. Soprattutto ad uso e consumo di chi, a Roma, sa benissimo che potrà parlare per giorni di quella casa rubata ad una famiglia del popolo per darla a chi non se la merita (perché “non è come noi”) e si sfrega le mani calcolando il profitto elettorale che porterà a casa da questa vicenda.
La Signora si rende conto di aver esagerato; dopo che il teatrino è finito e la famiglia marocchina è barricata in casa, si accorge subito che il suo profilo Facebook è invaso da messaggi di chi la incoraggia ma anche di chi la insulta come se fosse lei la delinquente. Nascono immediatamente fotomontaggi e video in cui la si prende in giro, sta diventando lo zimbello di mezza Italia. Nei giorni seguenti sarà lei l’argomento del consueto cicalare italiano. La Signora non esce più di casa perché tutti la attaccano e nessuno la difende. L’ex ministro ha risposto ad una domanda su di lei dicendo che non si occupa di sciocchezze. L’influencer ha fatto un post per gridare al mondo che i bambini non si toccano, portando a casa duecento settanta tremila like. Anche il giornalista ha detto che una cosa è un’inchiesta ma il razzismo proprio no, eh!
Guardo basito la trasmissione di attualità dove due opinionisti si stanno scannando con argomenti pro o contro le tesi della Signora; la conduttrice finge di scandalizzarsi ma, dal sorrisetto malizioso con il quale redarguisce i suoi ospiti, si capisce che sta gongolando all’idea del picco di ascolti che questa faccenda le regalerà. Sullo sfondo il faccione della Signora con espressione inferocita campeggia sul led wall televisivo.
Conosco questa donna sin da quando ero ragazzino: è arrivata all’inizio degli anni Ottanta con la sua famiglia dalla Sicilia. È sempre stata una persona gentile e gradevole che faceva impazzire me e il mio amico d’infanzia Bissio preparando dei dolcetti deliziosi: le sfinci, delle buonissime frittelle di patate e farina avvolte di zucchero e cannella. Mai avrebbe immaginato, allora, di diventare famosa per una vicenda tanto squallida.
Conosco anche il padre della ragazzina che è stata insultata: si chiama Khalil e mi dà una mano ogni tanto sul lavoro, è un uomo mite e onesto che si spacca la schiena a volte anche per meno di otto euro all’ora.
Andrebbe d’accordo con la Signora, ne sono certo, ma oggi il Paese li vuole nemici; tutti parlano: giornalisti, politici, polemisti, influencer, sociologi, psicologi, casalinghe di Voghera e così via.
C’è solo una parte che, dopo una serie di frasi banali e di circostanza, se ne sta zitta, ed è proprio quella che dovrebbe avere più cose da dire su questa brutta storia: la sinistra italiana!
Asserragliata come sempre nei propri uffici alla disperata ricerca di una qualunque interpretazione di sinistra ma non troppo, intelligente ma non troppo, populista ma non troppo che non la faccia calare più di tanto nei sondaggi elettorali.
È questo il motivo per cui le parole che arrivano alla Signora sono solo quelle di una destra che non ha nessuna remora ad usare e abusare della lingua italiana; la più gettonata è una delle più semplici: popolo.
La Signora è stata convinta di vivere un grande, unito, amorevole Popolo che starebbe benissimo se non ci fossero i brutti ceffi come Khalil a rovinare l’Italia.
La sinistra non ha nessuna arma di difesa contro questa parola che risuona tonante in tutte le piazze del Belpaese; eppure, penso tra me e me, esiste una parola altrettanto potente e semplice che farebbe capire tante cose a quella Signora, la parola comunità.
Perché bisognerebbe spiegarle che non esiste nessun popolo italiano, non è mai esistito né mai penso esisterà: la parola popolo è un’astrazione, come il gattino che canta le canzoncine al posto della suoneria del vecchio cellulare che la Signora usa ancora. L’Italia è sempre stata una rete di comunità: paesi, quartieri, associazioni; ci sono poche cose che accomunano un abitante di Sondrio ad uno di Catania, un romano ad un romagnolo e tutte sono parole nobili: storia, arte, cultura ma anche solidarietà, cooperazione, aiuto reciproco. Sono i vocaboli di una sinistra non più in grado di parlare. Di spiegare soprattutto che i sovranisti usano la parola ‘popolo’ perché nessun individuo di si sognerebbe mai di definire un’altra persona ‘zecca’ o di parlare di “pulizia etnica selettiva” oppure di citofonare a un ragazzino per accusarlo di essere uno spacciatore, sono cose troppo vergognose perché un essere umano ne faccia uso. Ma se lo vuole il ‘popolo’ allora sì! Ci si può nascondere dietro una parola del genere per dire e fare le peggio cose.
Bisognerebbe usare delle parole più belle per contrastare questa schifezza; anche le più semplici come ad esempio sfinci che è una parola bellissima e deriva dalla parola araba “isfang”, letteralmente “spugne”.
Occorrerebbe spiegare alla Signora questo: se è vero che lei e Khalil non faranno mai parte dello stesso popolo possono invece fare parte della stessa comunità; perché anche la moglie di Khalil cucina delle sfinci deliziose che fanno felici i suoi splendidi figli; lei e la Signora potrebbero benissimo cucinare insieme, scambiarsi le ricette, parlare dei loro problemi (che sono così simili con la fatica di arrivare a fine mese e di tirare su dei figli onesti), dei loro sogni (che sono così vicini perché tutte e due sperano in un mondo più giusto e pulito) e di quanto sono buone le loro sfinci, scoprendo insieme quanto è bello vivere in una comunità dove non esiste l’odio.
Si, penso proprio che domani andrò con il mio amico Bissio a chiedere a quella Signora di cucinarci un buon piatto di sfinci da portare alla famiglia di Khalil!